La “concessione di vendita” è un contratto tipizzato nella prassi commerciale per la distribuzione di beni e/o servizi, caratterizzato dal fatto che un soggetto (il “concessionario”) viene incaricato da un altro (il “concedente”) di curare la vendita dei beni/servizi di quest’ultimo in una certa area, solitamente (ma non necessariamente) in esclusiva. Si tratta di un tipo di accordo molto diffuso in certi settori, sia a livello interno che internazionale, perché presenta decisi vantaggi rispetto ad altri tradizionali modelli di business (in particolare, l’utilizzo di una rete agenti o di personale proprio). Avere una propria longa manus in un determinato mercato, permette infatti al concedente di mantenere un elevato livello di controllo sulla situazione locale, attraverso un soggetto indipendente, che assume il rischio d’impresa della sua attività. Non mancano peraltro aspetti negativi (in particolare la concentrazione del rischio di insoluti su di un unico soggetto) ma i vantaggi sono tali che si tratta spesso di una scelta obbligata, soprattutto se il concedente è un a PME e non ha le risorse per in autonomia quel mercato.

In molti Paesi, il contratto di concessione di vendita non è oggetto di specifica normazione. Ci si rifà piuttosto ai principi generali sui contratti[1]. Nel panorama europea, fa eccezione il Belgio, che sin dal 1961 ha adottato una normativa specifica in materia, oggi incorporata nel Code de droit économique (CDE), tesa a regolare in particolare i rapporti fra concedente e concessionario esclusivista, nella fase terminare dei loro rapporti[2]. L’ottica è quella di assicurare una protezione adeguata al concessionario in caso di risoluzione (rupture brutale) intimata dal concedente. Ciò riguarda soprattutto:

  • preavviso (ovviamente laddove il rapporto è a durata indeterminata) che dev’essere “ragionevole”

  • l’indennità finale, che dev’essere “equa”

  • restituzione dello stock.

Solo laddove il contratto venga chiuso a causa di “colpa grave” del concessionario, il concessionario non ha diritto né all’uno né all’altra.

In questi sessant’anni, i tribunali belgi hanno avuto più occasioni di pronunciarsi al riguardo. Quanto al preavviso, occorre considerare le circostanze del singolo caso. In alcuni casi sono stati ritenuti sufficienti pochi mesi, in altri alcuni anni. Alcune questioni possono peraltro dirsi assodate:

  • la previsione contrattuale che stabilisce un certo preavviso NON è considerata vincolante. Le parti possono concordare una durata dello stesso solo dopo la fine del rapporto, non prima (e se non lo fanno vi provvede il giudice)[3].

  • il preavviso può esser sostituito da un’indennità adeguata che vada a coprire il danno patito da chi non ne ha goduto (anche qui vale quanto appena detto: occorre vedere caso per caso);

Quanto all’indennità finale (c.d. “complementare”), anch’essa, come il preavviso non può essere oggetto di previsione contrattuale e viene quantificata di volta in volta essenzialmente sulla base dei seguenti parametri:

  • al tipico compenso per l’avviamento (plus-value) procurato, laddove ne ricorrano i presupposti (clienti nuovi procurati o vecchi sviluppati, che seguano il concedente)

  • il rimborso delle spese relative al personale di cui il concessionario è costretto a disfarsi (indemnité de dédit);

  • il rimborso delle altre spese ed investimenti fatti, di cui il concessioria possa continuare a godere (es. pubblicità o immobili dedicati e non ancora totalmente amortizzati).

Quanto allo stock, a differenza delle altre due poste può essere oggetto di valida previsione contrattuale. In difetto, si ritiene che il concessionario debba riprenderselo al meno per quanto riguarda i pezzi non obsoleti.

Le regole sopra citate hanno carattere imperativo. Un tribunale belga, in altri termini non può non applicarle, indipendentemente da quanto previsto dalle parti (sono infatti state poste sul presupposto che il concedente è parte debole che merita tutela, al di là di quanto obtorto collo può ritrovarsi ad accettare). Ciò può creare notevoli problemi, a livello di rapporti internazionali perché le regole in altre giurisdizioni possono essere (anzi in genere, sono) più permissive. Come ricordato in un post da noi recentemente dedica al caso Kia v Autocity, la possibile soluzione per evitare immediati problemi è quella di evitare che le questioni con un concessionario belga vengano decise da tribunali belgi. Il che si può fare, in certa misura, adottando specifiche accortezze in contratto.

 

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[1] È il caso dell’Italia, in cui si qualifica la concessione di vendita come contratto “atipico”, ricadente nello schema generale del “mandato” (art. 1703 ss. c.c.) ed al più soggetto ad applicazione analogica di norme tratta da altre fattispecie tipizzate, in part. la “somministrazione” (art. 1559 ss. c.c.).

[2] Legge del 27 luglio 1961 (modificata dalla legge 13 aprile 1971) sulla “risoluzione unilaterale delle concessioni di vendita esclusive a durata indeterminata”. V. in part. CED artt. da X.35 a X.40.

[3] Cassation (BE), 27/10/2000 nel caso Honda v Raes. (C98.0159.N).

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Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's owner.

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