L’esito di una recente causa fra una società francese (la Diamprest sas) ed una svizzera (la Sebex sa), nonostante sia stata questa trattata avanti un tribunale francese[1] con applicazione della legge francese, è d’interesse anche per gli operatori italiani.
Rodoliti e spinelli sono pietre dure usata in gioielleria. Le prime sono di un caratteristico color rosaceo (di lì il nome), i secondi possono essere di vari colori anche se i più commercializzati sono rossi come il rubino. La francese DIAMPREST doveva fornirne di tagliate ad Hermes (probabilmente per la realizzazione di braccialetti ed altri monili) e nel 2017 inizia a rifornirsene presso una ditta specializzata, la SEBEX sa. di Ginevra. Inizialmente le parti prevedono che le gemme debbano essere conformi a certi campioni fotografati, poi però le caratteristiche vengono stabilite volta per volta perché taglie e tonalità variavano. Nel marzo 2018, però, la Diamprest lamenta la qualità delle pietre ricevute a febbraio. La Sebex si offre di riprendersi la merce indietro, ma Diamprest continua ad ordinare altre pietre sino ad agosto. Ad agosto, Diamprest si rifiuta di pagare le fatture del periodo (ca. €30k) e anzi risolve i relativi contratti.
Ne nasce una causa, in cui la Sebex chiede il pagamento del dovuto e Diamprest resta sulle sue posizioni, rincarando anzi la dose con una richiesta di danni per poco meno di €300k (essendole asseritamente saltata la commessa Hermes). Sebex, dal canto suo, osserva che la pretesa è infondata, perché la contestazione è tardiva (si tratta di quasi 6 mesi dalla fornitura di febbraio) e generica. Sia il tribunale di primo grado che la corte d’appello danno torto alla Diamprest (dall’istruttoria salta fuori che non ci sono elementi per sostenere ritardi e non conformità).
Le argomentazioni alla base del ragionamento dei giudici francesi hanno, come sopra detto, portata generale – d’interesse per importatori ed esportatori italiani – perché la questione è stata risolta sulla scorta delle norme uniformi di cui alla convenzione di Vienna 1980 (CISG) di cui anche l’Italia è parte. Quand’é che una parte (nel nostro caso l’acquirente) può dichiarare risolto un contratto di vendita perché la merce a suo dire non è quella prevista? Ai sensi dell’art. 49 CISG, ciò è possibile quanto il venditore ha commesso un inadempimento essenziale (vale a dire di rilevanza tale che se previsto non avrebbe condotto la parte alla presa di impegni contrattuali)[2], comunque – se la merce è stata consegnata – entro un termine ragionevole dall’avvenuta consegna. Presupposto per una tale iniziativa è che la merce sia stata tempestivamente esaminata e contestata (anche per dar modo al venditore di rimediare – 48 CISG), con riferimento ad ogni singola partita di merce ricevuta. Cosa che non risulta da Diamprest esser stato fatto (salva la prima di marzo cui non è stato dato seguito).
In conclusione, il compratore è tenuto – al fine di poter esercitare i suoi diritti come previsti dalla CISG (risoluzione del contratto o anche riduzione di prezzo, ecc.) per il caso di merce non conforme – curare due passaggi essenziali:
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esaminare (o far esaminare) la merce non appena possibile (38 CISG) e
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se riscontra difetti di conformità, denunciarli in modo esaustivo al venditore in un termine ragionevole (39 CISG) (meglio, ovviamente, se per iscritto) da quando ne ha preso possesso. Ciò vale per ogni singola partita ricevuta.
Chi fosse interessato a ricevere (gratuitamente) copia integrale della decisione commentata, scriva a newsletter@lexmill.com.
[1] Decisione del Tribunal de Commerce de Paris del 20/12/2020, confermata dalla C. App. Paris – sez. Chambre commerciale internationale con arrêt 01/03/2022 – RG 20/18636.
[2] Art. 25 CISG: “Un inadempimento del contratto commesso da una delle parti costituisce inadempimento essenziale quando causa alla controparte un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di quanto essa aveva il diritto di attendersi dal contratto, a meno che la parte inadempiente non abbia previsto tale risultato né l’avrebbe previsto una persona ragionevole della medesima condizione che si fosse trovata nella medesima situazione”. La definizione è complessa, anche perché frutto di compromessi; si noti solo che l’essenzialità viene definita prendendo in considerazione due prospettive: quella della parte colpita dall’inadempimento (prima parte della frase) e quella, in qualche modo peraltro oggettivizzata, della parte responsabile dello stesso (seconda parte).
Se la non-conformità della merce non può esser considerato inadempimento ‘essenziale’, il compratore non ha diritto di risolvere il contratto (49 CISG) o chiedere beni sostitutivi (46 CISG), ma può esercitare altri rimedi: richiedere la riparazione della merce, se possibile; ridurre il prezzo convenuto (50 CISG) o comunque il risarcimento dei danni patiti (45.2 CISG). Si noti come, a differenza di precedenti normative uniformi, non è dato al compratore, , nel sistema CISG, di fissare un termine entro il quale rimediare, scaduto inutilmente il quale il contratto può essere risolto (c.d. Nachfrist – art. 47 CISG) Si è ritenuto infatti che tale possibilità avrebbe dato modi di trasformare facilmente difetti minori in inadempimento essenziale.