ESG

“RENDICONTAZIONE SOCIETARIA DI SOSTENIBILITÀ” (CORPORATE SUSTAINABILITY REPORTING). COS’È E PERCHÉ ADESSO È URGENTE CONSIDERARLA

By 6 April 2024 No Comments

 

  1. Cosa s’intende per “sostenibilità”? La “sostenibilità” di un’attività economica, per quanto qui interessa, significa la sua capacità di bilanciare (a) le proprie esigenze di generazione a breve termine di profitto con (b) l’esigenza, generale e più a lungo termine, della qualità del sistema in cui tutti noi viviamo.

    La sostenibilità – originalmente pensata in ottica di tutela ambientale (cioè

    Citrus mitits

    tutela dell’ecosistema e saggio sfruttamento delle risorse naturali) – oggi si è allargata a ricomprendere anche la dimensione economica (evitare crisi sistemiche ed assicurare una crescita compatibile) e sociale (evitare discriminazioni e garantire equi livelli generali di benessere).
    Essendo poi fondata l’attività economica moderna sul paradigma di un continuo sviluppo (pena la stagnazione ed il regresso), sviluppo e sostenibilità debbono giocoforza essere contemperarsi. Di qui, il concetto di “sviluppo sostenibile” (sustainable development) identificato in quello che “soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromette le capacità delle generazioni future di soddisfare i loro”.
    La UE ha elaborato a tal fine nel 2011 una propria “Strategia per lo sviluppo sostenibile” ed in sede ONU è stata adottata nel 2015 una “Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” e la EU ha quindi lanciato la propria scommessa di fare dell’Europa, entro il 2050, un continente “climaticamente neutrale” (c.d. progetto Green Deal).
    Non sappiamo se ciò sarà possibile, se cioè fra 200 o 1.000 anni la Terra sarà un mondo senza Sapiens (almeno come siamo abituati a pensarci da millenni), ma certamente oggi l’idea di sviluppo sostenibile offre una concreta prospettiva ed un set di valori su cui costruire un significato per quello che facciamo. Probabilmente il progresso tecnologico renderà necessari nel tempo aggiustamenti al programma iniziale, se non addirittura cambi radicali di prospettiva. Ma vi sono pochi dubbi che l’elaborazione di strategie tese, in ultima istanza, alla sopravvivenza della specie, sia un’esigenza non procrastinabile.
    Un acronimo che presto è cominciato a circolare, coniato invero anni prima, è ESG – Environmental, Social, Governance – vale a dire attenzione (i) alla tutela dell’ambiente, (ii) al rispetto dei diritti umani e sociali, e (iii) alla trasparenza nell’attività di amministrazione e governo societario[1].

  2. Cosa c’entrano le imprese? In quanto principali soggetti dello sviluppo economico, le imprese (sia pubbliche che private) sono direttamente coinvolte in questo processo e sono chiamate a riconsiderare il modo in cui agiscono in modo che si allinei a principi di sostenibilità. Ciò avviene o (a) a seguito di imposizioni d’autorità o (ii) (nelle aree non regolamentate) spontaneamente. Non farlo, espone le imprese nel primo caso a sanzioni o al blocco dell’attività; nel secondo caso, ad un probabile stigma sociale e di mercato.

    L’attenzione del legislatore europeo si è concentrata per ora sulle società e sui gruppi “grandi”. Restano fuori perimetro quindi le imprese “piccole” e medie” (PMI) fatta eccezione per quelle che sono quotate – e neppure queste laddove abbiano dimensioni definirsi “micro”. I parametri per definire la dimensione delle imprese sono fissati in sede UE usualmente per via di direttiva (quindi lasciano un certo margine agli Stati in sede di recepimento) [2].

  3. Quali sono le norme di maggior riferimento? Restando in ambito UE, sono da considerare soprattutto due direttive del 2013 e 2014[3] che hanno chiesto agli Stati membri di introdurre nel giro di un paio d’anni l’obbligo per le imprese ed i gruppi d’impresa più grandi (almeno 500 dipendenti), di integrare le classiche informazioni di bilancio con informazioni di natura non finanziaria attinenti allo stato delle cose e i programmi adottati in particolare in tema di:

    1. Protezione ambientale (incluso l’impiego di risorse energetiche, emissioni, …)
    2. Responsabilità sociale
    3. Trattamento dei dipendenti
    4. Rispetto dei diritti umani
    5. Lotta alla corruzione attiva e passiva
    6. Diversità ed inclusione

Da qui il passo è stato breve per l’adozione – nell’ambito del citato Green Deal europeo – nel dicembre 2022 della direttiva c.d. CSRD – che sta per Corporate Sustainability Reporting Directive, cioé “Direttiva sulla rendicontazione sociale in tema di sostenibilità”[4].
La CSRD ha esteso la platea delle imprese soggette ad obbligo di rendicontazione (si calcola che in Italia si passerà da ca. 200 imprese obbligate a ca. 4/5.000) ed ha previsto che – a partire dell’esercizio 2024 incluso[5] – le informazioni fornite debbano conformarsi a certi standards EU di nuovo conio[6], essere incluse nella Relazione accompagnatoria al bilancio ed essere certificate da terzi esterni accreditati (per ora i revisori legali).
Oggi si parla quindi non più (e solo) di Non-Financial Reporting (rendicontazione di questioni non finanziarie) ma di Corporate Sustainability Reporting (rendiconto sulla sostenibilità dell’impresa). In sostanza, viene richiesto che le imprese diano conto sia (a) di come la loro attività impatti sul tessuto sociale e sull’ambiente, sia (b) di come le questioni sociali ed ambientali impattino, in termini di rischi ed opportunità, sull’impresa stessa (principio di c.d. “doppio impatto”, double materiality).        
L’Italia, come gli altri Stati Membri, deve recepire la CSRD entro inizio luglio. La bozza dell’atto di recepimento è stata già predisposta e dovrebbe essere approvata nei tempi previsti.

  1. In cosa consiste la rendicontazione sociale in tema di sostenibilità? Come detto sopra, si tratta di una parte della relazione che accompagna il bilancio annuale.

    Le informazioni dovranno coprire le tre aree ESG (ambiente, sociale, societario).
    La UE sta predisponendo standards che garantiscano uniformità nella presentazione delle informazioni. Nella sostanza, comunque, si tratterà di indicare:

    1. il modello e la strategia aziendali in tema di resilienza ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità;
    2. gli obiettivi che l’impresa si prefigge di raggiungere (inclusi quelli di riduzione delle emissioni rilevanti per l’effetto serra);
    3. il ruolo degli organi di amministrazione sociali nella gestione delle questioni relative alla sostenibilità;
    4. eventuali incentivi in tema di sostenibilità;
    5. procedure di due diligence adottate, sempre in tema di sostenibilità;
    6. principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa nonché le eventuali azioni intraprese per prevenirli o attenuarli e i relativi risultati;
    7. principali rischi per l’impresa connessi alle questioni di sostenibilità;
    8. indicatori pertinenti per la comunicazione delle informazioni.

Per le PMI è previsto un report meno dettagliato, che evidenzi comunque la politica aziendale in tema di sostenibilità, i costi e le opportunità che ne derivano e i maggiori rischi cui la società è sottoposta con le relative modalità di contenimento.

  1. La CSRD interessa anche le PMI del Nord Est? Come accennato sopra, per ora, l’obbligo di rendicontazione in tema di sostenibilità interessa le imprese (quotate e non, pubbliche o private) con sede legale o filiale registrata nella UE, o quotate in u

    n mercato UE che possano esser definite come “grandi”, cioè soddisfino almeno due delle seguenti condizioni:

    1. più di 250 dipendenti e
    2. fatturato superiore ai €40 milioni
    3. utile di bilancio superiore a €20 milioni

Sono poi interessate all’obbligo di rendicontazione le imprese che si collochino sotto le soglie sopra indicate, ma siano quotate (salvo le micro).

Le tipiche PMI del Nordest (che non sono di norma quotate) sono quindi per il momento esentate da qualsiasi obbligo di rendicontazione. Ciò non di meno, per quanto detto sopra, potrebbero avere comunque interesse a produrla spontaneamente.

La potrebbero richiedere ad esempio banche o loro grandi clienti che desiderano assicurare uniformità nelle loro catene di approvvigionamento. Ma soprattutto, potrebbe esser un modo di confrontarsi con un processo virtuoso (che presumibilmente prima o poi finirà per coinvolgerle) e divulgare le proprie performances ESG ai propri stakeholders.

In parole povere, anche le imprese non oggi obbligate a rendicontare la propria sostenibilità hanno un indiscutibile vantaggio a farlo – meglio cominciare da subito a pensarci.

 

Lo studio LEXMILL è a disposizione dei clienti per accompagnarli in questo percorso.

 

_____________

[1] Il termine ESG è stato usato la prima volta nel 2004 in un documento generato grazie ad un’iniziativa assunta in sede ONU per delineare i tre criteri su base sui quali misurare le performances di un’attività, al di là dei risultati meramente economici. L’idea di fondo è che le imprese che dimostrano sensibilità verso i temi ambientali, sociali e di governo interno possono sostenere lo sviluppo globale dell’economia in modo virtuoso ed essere premiate dagli investitori. Si sono così sviluppate metodologie per la misurazione delle azioni poste in essere nei settori considerati e creato un vero e proprio rating ESG.

[2] Ai nostri fini, per definire le dimensioni dei soggetti tenuti a rendicontazione vengono assunti 3 indicatori e un’impresa è definita in un certo modo se, al momento di chiusura del bilancio, ne soddisfa – nel primo esercizio o successivamente per due esercizi consecutivi – almeno 2:

impresa… numero medio dipendenti Fatturato netto stato patrimoniale
“micro” <10 <€700.000 <€350.000
“piccole” e “medie” da 50 a 250 da €700.000 a €40.000.000 da €350.000 a €20.000.000
“grandi” 250 €40.000.000 €20.000.000

In sede UE gli esistenti parametri sono stati recentemente oggetto di revisione al rialzo (Direttiva 2775/23), considerata l’inflazione registrata nel 2021-22). Entro fine 2024 è previsto l’adeguamento.

[3] Si tratta della Direttiva 2013/34 c.d. Accounting e di quella 2014/95 c.d. NFRD (che sta per “Non-Financial Reporting Directive”).

[4] Direttiva 2022/2464/UE del 14/12/2022 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità, pubblicata in GUUE L322 del 16/12/2022, con obbligo di recepimento a carico degli Stati membri fissato al 06/07/2024.

[5] Il termine vale per gli enti di interesse pubblico e le imprese che già sono tenute alla rendicontazione non-finanziaria (NFRD). Termini più in là nel tempo sono stati previsti per le altre “grandi imprese” oggi non soggette alla NFRD (esercizio 2025); PMI quotate non micro, banche e assicurazioni minori (esercizio 2026); holding extra UE che fatturano più di €150 milioni ha hanno controllate nella UE (esercizio 2028).

[6] Le prime disposizioni-quadro di tali ESRS (European Sustainability Reporting Standards) sono state adottato nel luglio 2023 e pubblicate in dicembre (Reg. deleg. 2023/2772/UE in GUUE 22/12/2023 L284).

<img src="" class="rounded-circle shadow border border-white border-width-4 me-3" width="60" height="60" alt="Carlo Mosca">
Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's founding partner.

By continuing to use the site, you agree to the use of cookies. more information

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close