Lo scorso 10 settembre 2019 l’ICC ha presentato la versione finale dei nuovi Incoterms la cui entrata in vigore è fissata al 1° gennaio 2020 (nulla vieta peraltro di utilizzarli da subito, a patto che il contratto sia esplicito al riguardo).
Come noto, da qualche decennio gli Incoterms sono soggetti a revisione annuale e la versione 2020 (la nona) è così destinata a restare in vigore sino a fine 2029.
Il gruppo di esperti ICC (una decina di studiosi di vari paesi) che ha curato l’edizione 2020 ha iniziato i lavori nell’aprile 2017.

Per chi non avesse dimestichezza con la materia, va ricordato che il termine “Incoterms” sta per “International Commercial Terms” e designa la raccolta, curata sin dal 1936 (una prima ricognizione risale peraltro al 1923) dalla ICC – International Chamber of Commerce, di clausole usate nel commercio internazionale per la resa delle merci.
Gli Incoterms sono essenzialmente volti a disciplinare il passaggio dei rischi e dei costi di resa e relativi obblighi a carico delle parti.
Ogni termine è da tempo codificato da una sigla di tre caratteri alfabetici (così ad esempio FOB significa Free on Board, EXW significa Ex Works, …).

Se da un lato i vari termini della raccolta recepiscono le prassi in uso, dall’altra si pongono come riferimento autoritativo per la loro interpretazione. Pur restando una raccolta ‘privata’, gli Incoterms di fatto codificano un importante aspetto delle transazioni commerciali cross-border.
La loro diffusione può dirsi notevole, anche in certi mercati (in particolare quelli nei quali persiste l’influenza del diritto inglese) fanno ancora fatica ad essere accettati.
La loro diffusione pare poi limitata (seppur in parte non decisiva) dal fatto che non sono gratuitamente disponibili a chiunque. L’ICC ne distribuisce infatti copie solo a pagamento (e a costo non irrisorio) e ne ostacola la libera riproduzione vantando diritti di marchio e copyright. Peraltro, tale ostacolo è mitigato dal fatto che diviene inevitabile che, qualche tempo dopo la loro pubblicazione, gli Incoterms divengano, in parte o nel loro complesso, accessibili proprio grazie alla loro diffusione.

Quali sono le novità della versione 2020?

Invero, non si tratta di grandi cambiamenti rispetto alla versione 2010.
Nonostante negli ultimi anni circolassero varie suggestioni per una revisione, il gruppo di lavoro ICC ha operato solo quello che si potrebbe definire una ‘risistemazione’ della versione 2010.
In dettaglio:

  • I termini restano 11, diversificati fra –

    • i sette utilizzabili per qualsiasi genere di trasporto (EXW, FCA, CPT, CIP, DPU, DAP, DDP) e

    • i quattro specifici per il trasporto via acqua (FAS, FOB, CIF e CFR).

  • resta l’EXW, cioè il franco partenza. A dispetto delle sue criticità, e nonostante se ne discuta da anni la sua eliminazione, il termine è stato mantenuto perché ancora tropo radicato nell’uso.

  • Il termine DAT (Delivered at Terminal…) è stato rinominato DPU (Delivered at Place… Unloaded), perchè ‘terminal’ veniva spesso inteso in un’accezione eccessivamente ristretta. Invero ad una prima lettura il DPU pare del tutto identico al DAP, salvo che per l’obbligo di scaricare la merce. Valeva la pena creare due termini?

  • È stato previsto che il venditore deve assicurare la merce “All risk” se vende CIP (Cost, Insurance paid to…). Il riferimento è infatti alle Institute Cargo Clauses (A) anche se è possibile che le parti convengano una copertura minore. La copertura “Named Risks” resta invece quella prevista di default nel CIF (Cost, Insurance, Freight), l’antico termine di resa, relegato dagli Incoterms al solo trasporto via acqua (anche se nei fatti continua ad essere usato nell’accezione tipica del diritto inglese: consegnare i documenti rappresentativi di merce caricata in una determinata nave, con passaggio dei rischi all’imbarco e obbligo di assicurazione a carico del venditore). La ratio della differenza di trattamento risiede nel fatto che si è ritenuto necessaria una copertura assicurativa maggiore per la merce che viaggia in container (dove dovrebbe trovare utilizzo il CIP, tipico termine per trasporto multimodale), piuttosto che per quella che viaggi alla rinfusa (il che avviene di regola per mare, con ricorso al tradizionale CIF).

  • Il FCA (Free Carrier – termine che prevede il passaggio di costi e rischi con la consegna della merce al primo vettore) è stato modificato per disciplinare un’evenienza ricorrente: il fatto che la vendita preveda un pagamento con lettera di credito che (come è pressocché regola) richieda per l’escussione una B/L o altro documento attestante il carico a bordo. L’FCA 2010 forniva una coperta corta, in tali frequenti ipotesi. È stato così previsto che le parti possano convenire che il compratore debba dare istruzioni al vettore affinché consegni al venditore una B/L on-board o altro documento di trasporto che attesti il carico. Forse però la soluzione crea più problemi che risolverne. Infatti in tal modo il venditore diventa mittente vis-à-vis il trasportatore, con le conseguenze del caso.

  • È stato chiarito che ciascuna parte può provvedere in proprio al trasporto (senza avvalersi quindi di terzi trasportatori).

  • La ripartizione dei costi relativi ad ogni termine ha subito un restyling, per renderla più facilmente comprensibile. È pure stato affrontato espressamente il tema emergente delle incombenze relative alla sicurezza.

 

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Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's owner.

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