La sezione affari commerciali internazionali costituita presso la Corte d’appello di Parigi – Chambre commerciale internationale à la cour d’appel de Paris (CCIP-CA) – ha emesso in data 18/05/2021 un’interessante decisione (arrêt nella causa RG 19/22026, Gentaur b.v.b.a. v Ecrins Therapeutics s.a.s.) in tema di minimi d’acquisto in un contratto di distribuzione.
In breve, la storia può essere così riassunta.
Una società francese operante nel settore medicale affida nel giugno 2014 la distribuzione dei suoi prodotti in Belgio ad una società locale. Il contratto viene fatto per la durata limitata di 2 anni e non prevede esclusive. Peraltro, dei minimi di acquisti (abbastanza bassi: €10,000 per il primo anno) vengono posti a carico del distributore belga, salvo che per il caso di forza maggiore.
Le cose non vanno evidentemente come si prevedeva perché alla fine del biennio i belgi non hanno emesso un solo ordine d’acquisto.
Nel marzo dell’anno successivo (quindi 9 mesi dopo che il contratto era terminato), i francesi emettono una fattura di €10,000 (relativa evidentemente ai minimi 2014), che viene contestata dai belgi, i quali lamentano di non aver ricevuto alcun materiale promozionale a supporto delle vendite, che pur avevano promosso sul loro portale internet.
I francesi replicano che nessuna richiesta era loro giunta in tal senso e, visto che la fattura non veniva saldata, avviano nell’autunno 2017 una causa avanti il Tribunal de Commerce di Parigi (indicato in contratto come foro competente) chiedendo la condanna dei belgi al pagamento di €20,000 (visto che si trattava dei minimi di due anni), più spese.
Il tribunale emette la sua decisione due anni dopo (i tempi in Francia sono evidentemente un po’ più celeri che in Italia…), condannando i belgi a pagare i €10,000 euro, ma a condizione che i francesi forniscano un quantitativo di prodotti di pari valore.
Ai belgi la decisione ovviamente non piace e così la questione finisce avanti la Chambre commerciale internationale presso la Corte d’appello di Parigi, la quale emette a maggio 2021 la decisione che qui analizziamo.
Una prima questione riguarda la portata della clausola sui minimi.
I belgi sostenevano che non poteva considerarsi valida in quanto mancava di una contropartita: il contratto infatti non prevedeva esclusive di sorta. I francesi, per contro, obiettavano che la clausola era frutto di negoziati, tra l’altro durati mesi, e che doveva essere vista come una sorta di penale per l’eventualità che gli acquisiti si rivelassero inferiori ad una certa soglia concordemente pattuita (cosa che era in effetti poi avvenuta).
La questione doveva – pacificamente, visto che il contratto lo prevedeva espressamente – essere regolata dalla legge francese. (Per quanto ci interessa, medesima soluzione sarebbe probabilmente presa anche in base al diritto italiano).
La Chambre, rivelato correttamente che una clausola come quella in questione non può essere considerata una penale, la giudica comunque valida considerato in particolare che era stata oggetto di trattative fra operatori professionali e che i francesi erano contrattualmente tenuti a fornire campioni di prodotto, brochures illustrative ed altro materiale promozionale (se solo i belgi li avessero chiesti).
Per quanto riguarda invece la somma che i belgi sono stati condannati a pagare,
la Corte ha rilevato come i francesi non stessero richiedendo il corrispettivo di una vendita, bensì il risarcimento del danno a loro dire patito a causa dell’inadempimento dei belgi. Per tale ragione, tenuto conto delle risultanze processuali, la somma è stata quantificata in modo diverso da quanto fatto in primo grado. Precisamente in €3,000/anno, per un totale di €6,000, senz’obbligo di fornire alcun prodotto.
La decisione ha anche previsto che spese legali (quantificate in €4,000) a carico dei belgi.
Al di là di come si è conclusa (per ora) la vicenda, è interessante per un operatore italiano sapere come il sistema giudiziario francese si sia dotato di uno strumento particolarmente efficiente per la risoluzione delle cause commerciali aventi profilo transnazionale: le chambres commerciales internationales, appunto, sorta di sezioni specializzate. Ve ne sono due a Parigi, una di primo grado (CCIIP-TC) istituita presso il Tribunal de Commerce e l’altra di appello (CCIP-CA) costituita presso la Court d’Appel ed operative dall’aprile 2018 (anche se presso il Tribunal già vi era una sezione dedicata agli affari internazionali sin dal 1993). La procedura seguita oggi dalla Chambres modifica sensibilmente quella tradizionale interna, al fine di mettersi in linee con le prassi arbitrali internazionali (in cui pure la Francia primeggia). In particolare,
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è possibile utilizzare l’inglese come seconda lingua operativa (anche se gli atti scritti vanno presentati e la sentenza emessa in francese, con traduzione in inglese).
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le parti possono essere difese anche da un avvocato straniero (in primo grado non serve neppure avere un avvocato per le cause sotto i €10,000). Se si tratta di un avvocato abilitato in un paese extra UE, serve però la reciprocità.
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Il giudice può ordinare ad una parte o ad un terzo la produzione di documenti ritenuti utili;
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Le parti vengono coinvolte nella progettazione di una procedura concordata, nei tempi e modi, con possibilità di optare per procedure particolarmente accelerate.
L’esempio parigino è stato recentemente seguito da Tr. Comm. Nanterre e la C. App. Versailles nel 2020.
È evidente lo sforzo della Francia di voler proporre come hub europeo per la gestione del contenzioso giudiziario commerciale transnazionale, specie dopo l’uscita del Regno Unito.
Da noi (Italia) la cosa non pare nemmeno esser stata considerata: eppure è appena stato licenziato il testo della nuova (ennesima e temiamo vana come le precedenti) riforma del codice di procedura civile.
Chi fosse interessato a ricevere (gratuitamente) copia integrale della decisione commentata, scriva a newsletter@lexmill.com.