Ai fini della messa a perdita di un credito non recuperato, l’art. 101, comma 5, del d.P.R. n. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR) definisce le ipotesi in cui si può procedere in tal senso. In particolare, il suddetto articolo permette ad una società o ad un’impresa di mettere a perdita un credito qualora sussistano “elementi certi e precisi” che rendano definitiva l’irrecuperabilità del credito. Tali elementi certi e precisi si presumono (e, dunque, la deducibilità della perdita diviene automatica) allorché:

  • il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali o abbia concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del r.d. 267/1942 o un piano attestato ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. d) del medesimo regio decreto, o qualora sia assoggettato a procedure estere equivalenti previste in Stati o territori coi quali esiste un adeguato scambio di informazioni;

  • il credito sia di modesta entità e siano decorsi sei mesi dalla scadenza di pagamento di esso: a tale fine, il credito è considerato di modesta entità quando esso non superi i 5.000,00 € per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’art. 27, co. 10, d.l. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. 2/2009 (ossia per le imprese e società con ricavi non inferiori a cento milioni di euro); quando non superi, invece, i 2.500,00 € per le altre imprese e società (ossia laddove queste abbiano ricavi inferiori a cento milioni di euro);

  • il diritto alla riscossione del credito sia prescritto;

  • la cancellazione del credito dal bilancio sia operata in applicazione dei principi contabili.

Se per alcuni dei su richiamati casi la deducibilità della perdita diviene effettivamente automatica al ricorrere delle menzionate condizioni, però, così non pare essere né nel caso della prescrizione del diritto alla riscossione del credito, né nei residuali casi in cui gli “elementi certi e precisi” richiamati dalla norma devono essere, in assenza di puntuale definizione legislativa, analizzati caso per caso.

Difatti, sia l’Agenzia delle Entrate, sia la giurisprudenza richiedono, ai fini della realizzazione dei detti elementi certi e precisi, che il creditore, al di fuori delle viste ipotesi di automaticità, si attivi per il soddisfacimento del credito, al fine di evitare che la sua inattività si traduca in un atteggiamento remissivo e liberale, che non ammette deducibilità della perdita (vedasi, ad es., Risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 197 del 18.06.2019 in tema di prescrizione del diritto alla riscossione dei crediti).

Si tratta, a questo punto, di capire che cosa sia da intendersi col concetto di “elementi certi e precisi”.

L’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di intervenire sulla definizione del concetto in questione mediante la Circolare n. 26/E dell’01.08.2013, ossia la Circolare di riferimento adottata all’indomani delle modifiche legislative apportate dal d.l. 83/2012, convertito dalla l. 134/2012, all’art. 101, co. 5, TUIR. Nel testo di tale Circolare, si legge come il criterio della definitività della perdita per irrecuperabilità del credito sia ravvisabile in tutti quei casi in cui “si possa escludere l’eventualità che in futuro il creditore riesca a realizzare, in tutto o in parte, la partita creditoria”. Fra i casi in cui tale condizione è da reputarsi avverata ricorrono quelli in cui si sia in presenza di un decreto accertante lo stato di fuga, di latitanza o di irreperibilità del debitore, ovvero di denuncia di furto d’identità da parte del debitore o, ancora, nel caso di persistente assenza del debitore ai sensi dell’art. 49 del codice civile.

Al di fuori di tali casi, l’Agenzia delle Entrate afferma essere sufficienti, quali elementi certi e precisi dell’irrecuperabilità del credito, “tutti i documenti attestanti l’esito negativo di azioni esecutive attivate dal creditore (ad esempio, il verbale di pignoramento negativo), sempre che l’infruttuosità delle stesse risulti anche sulla base di una valutazione complessiva della situazione economica e patrimoniale del debitore, assoluta e definitiva”, od, ancora, “[la] documentazione idonea a dimostrare che il debitore si trovi nell’impossibilità di adempiere per un’oggettiva situazione di illiquidità finanziaria ed incapienza patrimoniale” tale da portare a ritenere che sia “sconsigliata l’instaurazione di procedure esecutive”.

Ulteriore caso in cui la citata Circolare ravvisa il ricorrere degli elementi certi e precisi ai fini della messa a perdita del credito è quello della antieconomicità della prosecuzione nella riscossione del credito, ravvisabile ogni qual volta “i costi per l’attivazione delle procedure di recupero risultino uguali o maggiori all’importo del credito da recuperare”.

Non sempre, però, fare il possibile per il recupero del credito è ritenuto sufficiente per la messa a perdita dello stesso ai fini fiscali: possono, difatti, esservi particolari situazioni in cui le condizioni e le qualità del debitore rendano pressoché impossibile la messa a perdita.

Un caso particolarmente illuminante in tal senso è rappresentato dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 16 del 23.01.2009.

I crediti alla base del caso in esame erano vantati dal creditore, la società Alfa s.r.l., nei confronti di alcune Aziende Sanitarie Locali. Al fine del recupero di tali crediti, la società Alfa aveva dapprima avviato un rito monitorio, così ottenendo un titolo poi azionato e, tuttavia, culminato in un esito infruttuoso del pignoramento presso terzi (effettuato presso la banca che faceva da tesoriere dell’ASL). Sul fronte immobiliare, la società creditrice aveva prodotto all’Agenzia delle Entrate la documentazione da cui risultava che i beni immobili dell’ASL debitrice, sulla base di un provvedimento della Regione, erano tutti confluiti in un Fondo comune di investimento di tipo chiuso, sicché tali beni, nonché le quote di partecipazione delle varie ASL in detto fondo, erano ex lege impignorabili e non ipotecabili. Dall’altro lato, la qualità di ente pubblico dell’ASL non rendeva percorribile neppure la strada della richiesta di fallimento del debitore, essendo questo, per legge, non assoggettabile a procedure fallimentari.

Nonostante la prova di aver tentato in ogni modo di soddisfare il proprio credito, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto soddisfatti i requisiti di certezza e precisione degli elementi della perdita – e, quindi, della sua definitività – ed ha, perciò, affermato l’indeducibilità della presunta perdita.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che l’illiquidità del debitore fosse solamente una situazione temporanea, avuto riguardo proprio alla qualità di ente pubblico di esso: solo una dichiarazione di insolvenza dello stesso avrebbe potuto portare a ritenere oggettivamente “definitiva” la perdita; tuttavia, proprio la natura di ente pubblico del debitore e la circostanza di non assoggettabilità a fallimento possono “fondatamente costituire elemento di positiva valutazione circa la probabilità di recuperare il credito non esatto”.

 

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