Un macchinario che funziona, ma produce meno di quanto pattuito, è da considerarsi non-conforme?

Parliamo di forniture internazionali, regolate dalla CISG – la normativa uniforme di cui alla Convenzione di Vienna 11/04/1980 – ed applicabile (salvo venga escluso dalle parti interessate) ai contratti conclusi fra soggetti avente sede d’affari in due diversi Stati aderenti alla Convenzione o laddove – in base ai criteri che identificano la legge cui fare riferimento – questa risulti essere quella di uno Stato aderente. Considerato che oggi gli Stati aderenti sono 94, è agevole immaginare che buona parte delle transazioni internazionali qualificabili come compravendita (cessione di merce contro denaro) ricadano nel dominio della CISG.

La questione è stata recentemente affrontata dai tribunali italiani (primo grado e appello di Torino e pure in sede di Cassazione), in un caso relativo ad una pressa industriale (non quella dell’immagine naturalmente…), realizzata e venduta dalla oggi cessata torinese Sandretto Industrie srl, ad una ditta israeliana la Tiberias Plast Ltd. La CISG era applicabile perché, appunto, sia Italia che Israele sono Stati aderenti e non risulta fosse stata pattuita la non applicazione della CISG.

Come spesso accade con macchinari di una certa complessità, si verificano, anche dopo un collaudo positivo, problemi tecnici che richiedono una messa a punto e magari rallentano la produzione o ne impediscono certe funzionalità.

È quel che pare essere successo alla pressa acquistata dagli israeliani, che peraltro avevano continuato ad utilizzare la macchina, sia pur lamentando il mancato raggiungimento degli standards pattuiti, sia per qualità che per i tempi dell’ouput.

Visto che gli israeliani si rifiutavano, per tale ragione, di saldare il prezzo convenuto, la questione era finita in tribunale, con gli israeliani che domandavano c la riduzione del prezzo residuo dovuto a causa della presenza di vizi e della mancanza di qualità.

Qui veniva accertata la sostanziale capacità del macchinario a svolgere la sua funzione (ed anzi il fatto che “risultava aver lavorato per molti anni in maniera intensiva”), pur a fronte dell’innegabile difettosità/mancanza di alcuni componenti. Conseguentemente gli israeliani venivano condannati a pagare agli italiani quanto dovuto ancora a saldo della fornitura, seppure in una misura leggermente ridotta (ca. €220.000 sui ca. €236.000 richiesti) a causa appunto dei difetti rilevati. L’art. 50 CISG prevede infatti che “In caso di difetto di conformità delle merci al contratto, sia che il prezzo sia stato pagato o no, l’acquirente può ridurre il prezzo proporzionalmente alla differenza fra il valore che le merci effettivamente consegnate avevano al momento della consegna, ed il valore che merci conformi avrebbero avuto in tale momento”.

La norma abilità invero il compratore stesso ad un’(auto)riduzione, ma qui è stato il tribunale a provvederci.

La decisione veniva confermata nel maggio 2016 in appello e sottoposta al vaglio della Cassazione. Questa si è espressa con sentenza n. 26687, depositata il 24/11/2020.

Detta decisione fornisce elementi utili per rispondere alla domanda iniziale.

Va premesso che, quando parliamo di non-conformità ai sensi della CISG ci riferimento essenzialmente a quanto previsto all’art. 35 della stessa che fornisce una serie di criteri per valutare appunto se il bene venduto possa o no considerarsi ‘conforme’ a quanto pattuito in contratto. Il punto è importante perché la non-conformità legittima il compratore all’esercizio di una serie di rimedi che possono arrivare alla risoluzione del contratto per inadempimento del venditore. In generale va tenuto presente che la risoluzione è concepita come ultima ratio, perché la CISG favorisce in via generale il mantenimento in vita del contratto, attraverso tutta un a serie di misure che vanno appunto dall’auto-riduzione di prezzo, al rimedio in proprio, all’obbligo di dar modo al venditore di rimediare (salvo nei casi evidentemente già gravi – c.d. inadempimento essenziale’), …

La nostra Cassazione ha affermato che “la presenza di alcuni difetti non implica necessariamente la non conformità della cosa venduta”, tenendo per buono anche il ragionamento fatto dalla Corte d’Appello in base al quale “avendo il macchinario lavorato per molto tempo, la presenza di alcuni problemi di funzionamento del medesimo non può equivalere a prova della responsabilità del venditore in quanto rimane il dubbio tra esistenza genetica dei difetti o ascrivibilità del loro insorgere a cause successive (ad esempio incuria, difetto di manutenzione)”.

L’affermazione che la presenza di alcuni difetti non implichi necessariamente la non-conformità del bene è invero un po’ osée. Qui pare proprio fossimo in un’ipotesi in cui certamente vi era non- conformità, per la quale (indipendentemente dalla gravità) la CISG prevede (artt. 36 e 45) la responsabilità del venditore. Il punto è che tale responsabilità ingenera, nel sistema CISG, la serie articolata di rimedi cui si faceva sopra riferimento. E ciò pare ancora poco digerito dalle corti italiane, abituate a ragionare in termini di vizi, mancanza di qualità promesse, malfunzionamento ed aliud pro alio (con i relativi, diversificati, rimedi).

C’è da dire, peraltro, che non è un problema unicamente italiano. Le norme CISG hanno inevitabilmente dato modo ai tribunali dei vari Paesi di dare diverse interpretazioni. Per quanto ci riguarda, ciò è avvenuto anche in relazione al concetto stesso di non-conformità (ad esempio un tribunale svizzero (HG Zürich 30/11/1998), per fortuna isolato, ha affermato che non vi è non-conformità se i beni forniti, pur diversi da quelli pattuiti sono ad essi equivalenti per valore e utilità).

La Cassazione ha poi ricordato – sulla scorta delle Sezioni Unite nella sentenza 11748/19 in tema di artt. 1490-92 c.c. – un principio ovvio, ma evidentemente non scontato: anche in base alla CISG (che pur non dispone espressamente al riguardo, ma contiene norme come quelle di cui agli artt. 38.1 e 79.1) l’onere di provare la non-conformità di un bene deve ritenersi gravante sul compratore che chiede la riduzione del relativo prezzo (come pure di risoluzione del contratto). Non si può pretendere, cioè, sia il venditore convenuto a provarne la conformità.

 

Chi fosse interessato a ricevere (gratuitamente) copia integrale della decisione commentata, scriva a newsletter@lexmill.com.

Per il testo in italiano della Conv. di Vienna 1980 v. CISG testo italiano a cura Buranello e Mosca.

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Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's founding partner.

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