A qualsiasi imprenditore la risposta pare ovvia: quando rivende la merce che gli fornisco ad un certo segmento di mercato che mi interessa. In altri termini, quando passa da un semplice intestatario delle mie fatture a qualcuno che ha un certo ruolo nella mia rete distributiva.

Gli studiosi di marketing hanno colto tale mutamento di stato, parlando di “soggetti integrati” (in una rete distributiva appunto). Sino a che un soggetto a valle della catena si limita ad acquistare, ma poi qual che se ne fa della merce che ha comprato resta a ignoto a chi sta a monte, certo non si può parlare di soggetto sulla cui collaborazione quest’ultimo possa granché contare per le sue strategie commerciali. Ma se cominciamo a parlare di azioni di marketing coordinate, di previsione di volumi d’assorbimento e magari di esclusive, … beh, allora, la cosa cambia. E l’interesse a stringere accordi del genere non è certo solo del soggetto a monte. Anche quello a valle può aver la sua attività grandemente agevolata dal fatto di mettere in portafoglio un prodotto in cui crede, in maniera non episodica, avendo alle spalle un partner direttamente interessato al successo del prodotto ed alla sua evoluzione tecnica.

Da un punto di vista pratico, i rapporti non si basano più sui meri accordi relative alle sole vendite (emissione di ordini, conferme e fatture, …) ma si allargano ad altro, per regolamentare appunto questa funzione servente, con respiro più o meno largo. La prassi ha così generato accordi-quadro di durata (generalmente un paio d’anni minimo, rinnovabili) che tipicamente vanno a disciplinare aspetti quali lo sviluppo nei confronti di un determinato target di potenziali clienti, i rapporti con i concorrenti dell’una e dell’altra parte (comprensibilmente tenuti fuori per quanto possibile) ed ovviamente le condizioni generali di fornitura. Accordi del genere sono conosciuti con il nome di “concessione di vendita”, o semplicemente di “distribuzione” e possono intervenire a qualsiasi livello della catena. Spesso il soggetto a monte (il “concedente”) è un fabbricante, ma può ben trattarsi di un importatore o di distributore. Pure il soggetto a valle (il “concessionario”)

Ovvio che parliamo soprattutto di prodotti/servizi caratterizzati da un una certa immagine, destinati ad un pubblico che li può apprezzare per il marchio, le caratteristiche tecniche o i servizi post-vendita dedicati. E prodotti/servizi che per una ragione o l’altra il soggetto a monte reputa opportuno non gestire direttamente in proprio.

A noi qui interessa come tali accordi siano considerati, da un punto di vista giuridico. Va avvertito, preliminarmente, che i giuristi – in questo cosa come in molti altri – arrivano con un certo ritardo. In molte giurisdizioni mancano proprio una disciplina specifica e quindi occorre applicare principi generali di diritto, o prendere segmenti di regole dettate per contratti analoghi[1].  Diventa così importante vedere come nei casi concreti che arrivano avanti ad un giudice le questioni problematiche sono risolte.

Un caso interessante è stato di recente affrontato in Olanda dal tribunale di Haarlem (Rechtbank Noord-Holland, 14/06/2022) cui un rivenditore locale di vini si era rivolto per un provvedimento cautelare che ingiungesse al suo ex partner fornitore italiano di proseguire nei rapporti (chiusi in tronco da quest’ultimo nell’aprile 2022) per il tempo necessario agli olandesi per riorganizzarsi (i rapporti erano in essere da 25 anni!), impedendo nel frattempo agli italiani di commercializzare tramite terzi.

Gli italiani avevano anticipato l’iniziativa giudiziaria degli olandesi, chiamandoli in causa avanti un tribunale italiano per accertare che non di concessione di vendita si trattava, ma di semplici forniture seriali di merce. Tuttavia, la corte di Haarlem si è ritenuta competente a decidere sulle domande dagli olandesi sia perché fatte, appunto, in sede cautelare; sia perché il rapporto poteva ben esser qualificato, alla luce dei fatti, come di concessione di vendita e – in base alle regole dell’Unione – trattandosi di fornitura di servizi, come assodato dalla Corte Europea di Giustizia nel caso Corman–Collins[2], giudice competente in assenza di clausola contraria è il giudice del paese ove i servizi vengono svolti (cioè i Paesi Bassi, nel nostro caso)[3]. Il tribunale di Haarlem ha quindi effettivamente ingiunto agli italiani, con decisione 14/06/2022, di proseguire il rapporto con gli olandesi, in via esclusiva, sino a fine 2022.

Si vedrà ora se il giudice italiano si riterrà o no competente nel merito. Presumibilmente dovrebbe ragionare come il suo collega olandese, e rinviare a questi la questione.

La cosa interessante è però un’altra (e qui torniamo alla questione inizialmente vista): perché gli olandesi sono stati considerati concessionari di vendita (distributori, se si vuole) e non semplici clienti/acquirenti? Dicevamo che il giudice di Haarlem ha preso in considerazione gli elementi fattuali emersi in corso di istruttoria e questi in sintesi erano:

  • Il fatto che nella corrispondenza intercorsa gli italiani abbiano qualificato gli olandesi come “distributori”

  • L’esistenza di un obbligo, a carico a carico del compratore, di “darsi da fare” per sostenere la distribuzione dei prodotti acquisti (es. partecipazione a campagne promozionali)

  • Esclusiva territoriale di cui han goduto gli olandesi, almeno per certe etichette, negli ultimi 5 anni;

  • Obbligo a carico degli olandesi di rivendere i prodotti acquisti solo in una certa area;

  • Sostegno dato dagli italiani alla formazione tecnica del personale olandese

Il tutto non formalizzato in un accordo specifico, ma risultante dai concreti comportamenti posti in essere negli anni (che evidentemente valgono alla stessa stregua di un accordo scritto).

La decisione risulta in linea con la giurisprudenza locale. Ancora nel 2010, ad esempio, la Corte d’appello de L’Aja aveva, nel caso Bandit, precisato che un fornitore abituale (Bandit Belgium) di prodotti destinati alla rivendita in un certo territorio tramite un certo altro soggetto (Bandit Nederland), non può pretendere di troncare di punto in bianco i rapporti senza riconoscere a quest’ultimo il diritto ad un preavviso e ad un ragionevole indennizzo. Soprattutto, se il rapporto è caratterizzato da esclusività[4]. I parametri adottati per caratterizzare il soggetto acquirente come “distributore” (esclusivista) erano stati in particolare i seguenti (anche qui si trattava di un rapporto non formalizzato da accordi specifici, per ls distribuzione di generatori di nebbia, da utilizzarsi come congegni antintrusione nei Paesi Bassi):

  • il fatto che il fabbricante, sul suo sito web, aveva indicato il rivenditore come suo “distributore”;

  • il fatto che i prodotti destinati alla commercializzazione nei Paesi Bassi erano stati venduti solamente al rivenditore;

  • il fatto che la politica generale del fabbricante era risultata quella di concedere l’esclusiva per una certa area quando il rivenditore dimostrava di esser in grado di coprirla;

Nel caso in questione, quella che è stata qualificata come risoluzione in tronco, immotivata, del contratto di distribuzione è consistita in una semplice comunicazione con la quale il fabbricante candidamente informava il rivenditore che, da una certa data in poi, una società terza sarebbe stata l’importatore ufficiale.

Il fabbricante è stato condannato a risarcire l distributore i danni patiti.

Una vicenda dai profili simili è stata risolta recentemente anche dalla Cassazione italiana nel caso Blackboard del 2020, con analoghe conclusioni[5]. Si trattava di caso relativo la rottura di un rapporto fra una ditta spagnola di scarpe sportive ed il suo rivenditore Italia. Anche qui si trattava di un rapporto non formalizzato per iscritto, ma con evidenti prove che sussisteva “un’operatività di distribuzione e promozione all’estero della linea di calzature (OMISSIS); di analisi e consulenza di mercato e di moda; di sviluppo pubblicitario del volume d’affari; di incremento del fatturato secondo indici previsionali di fattibilità e penetrazione”. La rottura del contratto, da parte degli spagnoli era stata poi imputata a fattori estranei alle mere compravendite (calo dei fatturati, mancata promozione del marchio, ecc.).

 

Chi fosse interessato a ricevere (gratuitamente) copia integrale delle decisioni commentate, scriva a newsletter@lexmill.com.

 

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[1] Nell’Unione Europea, solo il Belgio si è dotato di una normativa specifica (anche se limitata ai soli contratti caratterizzati da esclusiva e con specifico focus sulla loro chiusura (preavviso e indennità). Peraltro, va ricordato che i contratti di concessione di vendita sono stati oggetto di specifica attenzione del legislatore comunitario sin da inizio anni ‘60 (a partire almeno dalla comunicazione della Commissione del 09/11/1962, che precedette l’adozione dei regolamenti 153/1962, 19/1965, e infine 67/1967) in quanto le restrizioni generalmente previste in tal genere di intese ben potevano alterare il gioco della libera concorrenza e tradursi in una restrizione dell’offerta a danno dei consumatori. Il regime si è poi consolidato con il Reg. 83/1983 per poi basarsi su regolamenti d’esenzione relativi, in genere, alle c.d. “intese verticali” (2790/1999, 303/2010, ed oggi 720/2022 in vigore dal 01/06/2022). La loro disciplina si estende a tutto lo Spazio Economico Europeo.

[2] ECJ 19/12/2013, C-9/12, Corman–Collins SA (BE) v La Maison du Whisky s.a. (FR).

[3] Tale regola è posta dal Reg. UE 1215/2012. In assenza di diversa previsione contrattuale, il giudice competente è o (i) quello del paese ove ha sede il convenuto – sarebbe stata l’Italia nel nostro caso) o (ii) il giudice del paese in cui l’obbligo che si lamenta violato è stato o doveva essere eseguito – intendendosi per tale (a) in caso di contratti di compravendita (art,7.1.b, primo trattino), il paese dove è avvenuta o doveva avvenire la consegna delle merci e (b) in caso di contratti per prestazione di servizi (art,7.1.b, secondo trattino), il paese dove detti servizi sono stati o dovevano essere resi.

[4] C. App. L’Aja (Gerechtshof ‘S-Gravenhage), V sez. civ. sent. 16/03/2010, Bandit Nederland b.v. (NL) v Bandit n.v. (BE).

[5] Cass. SU, ord. 21/12/2020 nel caso 29176, Berneda (ES) v Blackboard (IT), in sede di regolamento di giurisdizione (vale a dire per identificare correttamente il giudice competente per il merito). Tale decisione segna il deciso abbandono dell’orientamento tradizionale in base al quale la concessione di vendita veniva considerata ricadere, ai fini dell’identificazione del giudice competente, nella disciplina relativa alle vendite, e non in quella della prestazione di servizi (v. decisioni 14208/2005, Vtech Electronics e 10223/2006, Fall. Natlacen).

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Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's owner.

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