Nel 2006 i due soci 50-50% di QUADRANTE SPA (un’immobiliare mista pubblico-privato ormai sciolta, creata a fine anni ’80 per la riqualificazione di una vasta area fuori Roma) concordavano nei loro patti parasociali un meccanismo semplice semplice per risolvere le controversie gestionali qualora non fosse possibile trovare una soluzione amichevole. Si trattava di un sistema conosciuto come “roulette russa” che, nella sua forma più semplice, dà a una parte la possibilità di sbarazzarsi della propria quota oppure di rilevare quella del partner, al medesimo prezzo.

La logica alla base di questo tipo di meccanismi – spesso usato nelle joint ventures paritarie – è che il prezzo proposto tende a essere equo, poiché l’attivazione della clausola espone la parte offerente a conseguenze simmetricamente divergenti. È come se due bambini pronti a dividersi in due una torta si accordassero sul fatto che uno taglia e l’altro sceglie.

Nel nostro caso è successo che effettivamente, nel 2012, uno dei due soci (la FINTECNA SPA, una finanziaria in mano pubblica) ha attivato la clausola ed alla fine ha acquisito la quota dell’altro socio (la SVILUPPO CENTRO EST SRL). Questa, però, non è rimasto affatto soddisfatta del risultato, perché a suo dire il prezzo incassato era, a suo avviso, palesemente inferiore al valore di mercato della quota.

La cosa è finita in tribunale a Roma. Sia il primo grado che la corte d’appello, tuttavia, hanno respinto tutte le richieste di SVILUPPO CENTRO EST[1]. Recentemente, la Corte di Cassazione ha detto la parola fine sul caso[2] confermando le decisioni dei tribunali di grado inferiore. Il prezzo pagato è stato ritenuto “presuntivamente equo”[3] e nell’occasione sono stati enunciati alcuni interessanti principi di diritto. È probabile che questi costituiscano le linee-guida per casi analoghi, anche in considerazione del fatto che nella giurisprudenza italiana non si trovano precedenti specifici[4]:

Secondo la Corte, una clausola di “roulette russa” come quella in questione è, in linea di principio, valida ai sensi della legge italiana. In particolare, non è in contrasto con articoli del nostro codice civile, che la SVILUPPO CENTRO EST lamentava violati, e cioè-

  • l’art. 1355 c.c. che vieta le “condizioni puramente potestative” (cioè quelle che si possono soddisfare solo se la parte obbligata sceglie di farlo).
  • l’art. 2265 c.c., che vieta il cosiddetto “patto leonino” (vale a dire un accordo tra soci in cui uno sopporta le perdite, ma non ha diritto agli utili).
  • l’art. 2341-bis I c.c. che fissa i criteri che debbono, in generale, informare i patti parasociali
  • l’art. 2437-ter c.c. che stabilisce i criteri per la valutazione del valore delle azioni.

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[1] Tr. Roma 19/10/2017 sent. 19708/2017 e C. App. Roma 03/02/2020 sent. 782/2020.

[2] Cass. 10/03/2023 n. 22375, Quadrante.

[3] I giudici sul punto si sono rifatti anche a precedenti tratti dall’esperienza statunitense, citando il caso Valinote v Ballis, deciso nel giugno 2002 dalla corte d’appello del 7th Circ. (01-3768).

[4] V. comunque in temi contigui: Cass. 36092/2021 sui patti parasociali in genere, Cass. 27227/2021 (su opzioni call e put); e Cass. 12956/2016 (su patti di prelazione).

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Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's founding partner.

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