Alcune recenti sentenze di merito (Tr. Busto Arsizio del 05/05/2021 n. 190; Nomitel e Tr. Bari del 15/06/2020, n. 1625, Parmabiz) hanno fatto il punto sull’annosa questione relativa al discrimine fra agente e dipendente (relativamente al rapporto che il soggetto ha con la casa mandante).
La distinzione di principio è chiara: il primo (l’agente) è un soggetto indipendente che nella sua autonomia organizzativa svolge dei servizi a favore della mandante, consistenti sostanzialmente nel promuovere la vendita di beni e prodotti di questa (o per converso, anche se è meno frequente, di attivarsi verso possibili fornitori, promuovendo così a favore della mandante l’acquisto di beni o servizi). Il dipendente, invece, è un soggetto facente parte della forza lavoro di un terzo (nel nostro caso, la “mandante”), un ‘collaboratore dell’imprenditore’ secondo l’impostazione del 2094 c.c., che può avere fra le sue funzioni anche quelle di promozione delle vendite i degli acquisti, in tal modo non differenziandosi di fatto dall’agente, salvo che per una caratteristica essenziale: l’assenza di autonomia organizzativa.
Sostanzialmente, un agente organizza come crede il suo lavoro (che contatti avere, come organizzare gli appuntamenti, che viaggi fare, ecc.) e ne sopporta direttamente i costi. Diranno i risultati se l’attività sarà proficua o no: è il rischio d’impresa. Il dipendente, invece, da un lato non ha autonomia auto-organizzativa (se non nei limiti che il suo datore di lavoro gli concede) e soprattutto non ha rischio d’impresa. Potrà magari avere dei premi, se le cose vanno bene, ma il suo stipendio viene erogato indipendentemente dai risultati che procura, e non sopporto alcuna spesa in proprio.
Quello che rileva maggiormente (Cass., 27.2.2007 n. 4500, Capparo Fisiokinesiterapico) è che “… costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato”.
Le varie pattuizioni che possono intervenire a disciplina dei rapporti fra agenti e mandanti vanno letti in tale ottica.
Se le cose sono così chiare, perché la distinzione fra agente e dipendente è un tema costantemente alla ribalta e spesso occasione di decisioni dei giudici come quella qui commentata?
La risposta richiede una premessa storico-sociologica, ed una (correlata) di natura normativa.
Quanto alla prima, va considerato che tradizionalmente in Italia, gli agenti sono in larga parte persone fisiche (che svolgono la loro attività tramite imprese individuali). Ciò comporta uno sbilanciamento di fatto del potere negoziale fra mandante e agente: non siamo, nella maggior parte dei casi, in presenza di due imprese che trattano, più o meno, alla pari, ma di un singolo che tratta con un’organizzazione ben più strutturata di lui (naturalmente non è sempre così) e in taluni casi il potere di indirizzo che la mandante vuole imprimere all’attività dell’agente rischia di annullare il potere di auto-organizzazione di quest’ultimo. Non mancano casi in cui la mandante pretende di organizzare la giornata dell’agente, o gli sta talmente con il fiato su il collo che risulta a questi difficile non render conto dei suoi movimenti. Da ultimo non sono mancati casi in cui l’agente era tale solo di nome e la finzione era motivata sostanzialmente dal tentativo di sottrarsi alle maglie più ferree del regime previsto per i dipendenti.
Quanto alla seconda, va considerato che agenti e dipendenti – pur essendo di principio soggetti collocati su piani nettamente diversi – spesso subiscono un trattamento non eccessivamente dissimile. I primi sono, come abbiamo visto, imprenditori e quindi i rapporti che instaurano con le case mandanti sarebbero soggetti, di principio, al regime contrattuale ordinario, temperato dalla protezione assicurata dalla direttiva CE 853/86 che prevede l’inderogabilità di certi loro diritti; i secondi invece hanno come riferimento la normativa in materia di lavoro che alza notevolmente la tutela di cui possono godere lasciando ben poco spazio all’autonomia negoziale. Di fatto, però, nei riguardi di entrambi si è sviluppata una prassi di contrattazione collettiva (con la sola nominale differenza che per i dipendenti si parla tradizionalmente di “contratti collettivi” c.d. CCNL, mentre per gli agenti di “accordi collettivi” c.d. AEC) e tutti i maggiori sindacati dei lavoratori (CGIL, CISL e UIL abbiano una propria organizzazione agenti (che paradossalmente ma non troppo tutela degli imprenditori): FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL, UIL TUCS. Inoltre, le controversie che riguardano agenti operanti su base esclusivamente o prevalentemente personale sono competenza del giudice del lavoro (o stesso che giudica controversie che interessano i dipendenti) e ciò ha inevitabilmente determinato una certa trasmissione di concetti propri del diritto del lavoro anche all’area dell’agenzia (es. in tema di giusta causa o di periodo di prova). Infine, va considerato che per gli agenti è stato creato un regime previdenziale e pensionistico, sulla falsariga di quello utilizzato per i dipendenti, il che costituisce una notevole anomalia rispetto alla normale situazione in cui versa un imprenditore.
In definitiva, quindi, sia a livello legislativo che giurisprudenziale le figure del dipendente e dell’agente persona fisica subiscono spesso, di fatto, un trattamento non eccessivamente dissimile. Resta invero la differenza concettuale cui sopra si accennava e quindi occorre analizzare la situazione caso per caso.
La sentenza emessa dal Tribunale di Bari nel 2020 riguardava un venditore di enciclopedie Treccani che aveva lavorato per un paio d’anni per la Parmabiz srl, un’azienda oggi in liquidazione che promuoveva in veste di agente dell’Istituto Enciclopedie Italiano la vendita, appunto della Treccani. L’interessato sosteneva che pur essendo stato inquadrato come agente di fatto era tenuto al rispetto di una rigida organizzazione del lavoro e di dover partecipare a corsi di formazione obbligatori. È emerso però che era libero di organizzare le visite ai clienti come meglio credeva. Il fatto che detti appuntamenti fossero raccolti tramite call center centralizzato e poi passati a lui come agli altri agenti non ha costituito, ad avviso del tribunale, una restrizione apprezzabile Pure il fatto di dover relazionare quanto all’esito di detti contatti e dover partecipare a corsi di formazione interna non è stato considerato dal tribunale un indice di subordinazione.
Come ha avuto modo di riassumere il tribunale: “Il preponente, dunque, non potrà: imporre la lista giornaliera dei clienti da visitare (ma potrà chiedere di visitare determinati clienti o categorie di clienti a cui tiene), programmare gli itinerari che l’agente deve seguire (ma potrà pretendere dall’agente che organizzi le visite in modo tale da coprire la propria zona di competenza in maniera adeguata), decidere l’organizzazione interna dell’agenzia (ma potrà pretendere determinati standard qualitativi del personale, adeguatezza dei locali e del numero dei collaboratori in base all’attività promozionale dell’agente stesso), imporre rendiconti dettagliati sulle attività svolte dall’agente (ma potrà chiedere report sull’andamento del mercato). Proprio in merito a quest’ultimo adempimento, giova osservare che la richiesta di periodico aggiornamento sulle visite effettuate e sugli esiti delle stesse – confermata dai testi escussi – lungi dal costituire un indice di subordinazione, sembra più correttamente integrare l’assolvimento dell’onere di comunicazione e aggiornamento imposto alle parti nel reciproco interesse e in applicazione dei canoni di lealtà e buona fede.
La sentenza emessa dal Tribunale di Busto Arsizio nel 2021 riguardava, invece, un agente della Nomitel, un’azienda che vendere servizi di telefonia TIM. Anche in questo caso ci si trovava quindi in presenza di un rapporto di subagenzia ad, ancora, la richiesta dell’agente di essere assimilato ad un dipendente è stata respinta. Interessante il fatto che il tribunale abbia considerato “parte strutturale del contratto di agenzia”, la prassi delle mandanti del settore di affidare all’agente un pacchetto di clienti da ‘lavorare’.
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