Unfair Competition

PRONTI, MEZZA… VIA! Concorrenza sleale e marketing parassitario ai Giochi Olimpici

By 28 December 2020 December 28th, 2022 No Comments

CONCORRENZA SLEALE E PUBBLICITA’ PARASSITARIA IN VISTA DEGLI ATP FINALS e GIOCHI OLIMPICI E PARALIMPICI INVERNALI

Il recente DL 11.03.2020 n. 16, nel dettare le norme organizzative dei due eventi, rafforza il quadro regolatorio in materia di pubblicità parassitaria.

A cura dell’avv. Alessandra Papa e dott. Stefano Parro

 

Mancano pochi giorni al grande evento delle ATP Finals di Torino che si terranno nel capoluogo piemontese per i prossimi cinque anni.

E si avvicina anche a grandi passi l’altro importantissimo evento di cui l’Italia si è aggiudicata l’organizzazione, vale a dire i Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano-Cortina 2026.

Per le imprese italiane, eventi come questi rappresentano un importante momento di business. E il tentativo di associare i propri marchi all’evento è forte.

È facile, però, incorrere in pratiche illecite, in iniziative parassitarie, che vadano a ledere gli interessi degli sponsor ufficiali.

È il fenomeno, conosciuto oramai anche in Italia, del cd. “ambush marketing”, letteralmente “pubblicità di imboscata”, che ricomprende tutte quelle attività pubblicitarie ingannevoli con cui soggetti diversi dagli sponsor ufficiali si colleghino in maniera parassitaria all’evento sportivo, traendone benefici senza aver pagato alcun corrispettivo agli organizzatori.

Si tratta di attività o iniziative che si concretizzano:

  • nella mera contraffazione o nell’uso non autorizzato dei segni distintivi (come il caso della commercializzazione di un’imitazione del trofeo della Champions League di cui si è occupato il Tribunale di Milano nella sentenza 14.08.2003 o come il caso della registrabilità di marchi contenenti la parola “Olympic” di cui si è occupato il Tribunale di Venezia, nella sentenza 16.12.2005); oppure

  • attraverso iniziative di vendita o pubblicizzazione di prodotti e servizi abusivamente contraddistinti con il logo dell’evento sportivo o fieristico (come allorquando l’azienda d’abbigliamento “The North Face”, in occasione delle Olimpiadi invernali di Sochi del 2014, decise di immettere nel mercato canadese alcuni capi d’abbigliamento riproducenti la bandiera del Canada e contraddistinti da uno stemma recante la scritta “RU 14”, inducendo il Comitato Olimpico Canadese ad agire per troncare un’iniziativa che, a suo dire, creava nel pubblico un falso collegamento di sponsorizzazione fra the North Face e lo stesso Comitato Olimpico Canadese); oppure

  • attraverso qualsivoglia attività di promozione del proprio marchio o altro segno distintivo tramite qualunque azione, non autorizzata dall’organizzatore, che attiri l’attenzione del pubblico: uno dei casi più conosciuti risale alla Coppa del Mondo del 2006, in particolare alla partita disputatasi il 16 giugno di quell’anno fra la nazionale dei Paesi Bassi e quella della Costa d’Avorio. Nello specifico, il produttore di birre neerlandese Bavaria aveva, nel periodo precedente all’evento, venduto paia di pantaloncini arancioni (col proprio marchio impressovi) come gadget aggiuntivo alle proprie birre, cavalcando la recente tradizione dei tifosi neerlandesi di vestire quel tipo di pantaloncini (simpaticamente soprannominati “leeuwenhosen” da Bavaria) in occasione delle partite di calcio disputate dalla nazionale. Il problema, però, era un altro: Bavaria non era sponsor ufficiale dell’evento; al contrario di Budweiser, sua concorrente. Per onorare gli accordi pregressi tra FIFA e Budweiser, gli organizzatori hanno, perciò, ritenuto opportuno spogliare i tifosi degl’indumenti che recavano il marchio d’un’azienda che sponsor non era.

In Italia gli strumenti di tutela esistenti contro le suddette pratiche, al fine di preservare il valore delle sponsorizzazioni e delle licenze concesse dagli organizzatori di grandi eventi, si ritrovano essenzialmente nella disciplina civilistica volta a contrastare gli atti di concorrenza sleale, nonché nella normativa sul diritto d’autore e dei consumatori.

Ma, proprio in vista delle prossime olimpiadi e delle finali del circuito professionistico di tennis, l’Italia ha voluto rafforzare il quadro regolatorio in materia di pubblicizzazione parassitaria e di tutela dei segni notori legati a manifestazioni o eventi sportivi e/o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale.

La legge 31/2020 di conversione del decreto legge 11.3.2020, n. 16, recante “Disposizioni urgenti per l’organizzazione e lo svolgimento dei Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e delle finali ATP Torino 2021-2025, nonché in materia di divieto di attività parassitarie”  ha, infatti, per la prima volta normato, vietandole – limitatamente ai citati eventi sportivi – le attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie, fraudolente, ingannevoli o fuorvianti poste in essere in relazione all’organizzazione di eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la finalità di ricavare un vantaggio economico o concorrenziale.

Le condotte vietate sono elencate nel suddetto decreto e comprendono:

a) la creazione di un collegamento anche indiretto fra un marchio o altro segno distintivo e uno degli eventi sportivi e fieristici, idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali;

b) la falsa rappresentazione o dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale;

c) la promozione del proprio marchio o altro segno distintivo tramite qualunque azione, non autorizzata dall’organizzatore, che sia idonea ad attirare l’attenzione del pubblico e idonea a generare nel pubblico l’erronea impressione che l’autore della condotta sia sponsor dell’evento sportivo o fieristico medesimo;

d) la vendita e la pubblicizzazione di prodotti o di servizi abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo di un evento sportivo o fieristico ovvero con altri segni distintivi idonei a indurre in errore il pubblico circa il logo medesimo e a ingenerare l’erronea percezione di un qualsivoglia collegamento con l’evento ovvero con il suo organizzatore o con i soggetti da questo autorizzati.

La loro violazione, secondo il decreto, salvo che la condotta costituisca reato o più grave illecito amministrativo, comporta la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 100.000 euro a 2,5 milioni di euro.

Ovviamente il ricorrere di queste condotte andrà valutato caso per caso, bilanciando gli interessi degli organizzatori e degli sponsor con i contrapposti interessi alla libera concorrenza e alla libertà di espressione.

 

 

 

 

 

 

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